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EYES WIDE SHUT
(EYES WIDE SHUT)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 24 ottobre 1999
 
di Stanley Kubrick. Con Tom Cruise, Nicole Kidman, Sydney Pollack, Maria Richardson (Stati Uniti, 1999)
 
"Ad occhi chiusi spalancati": già dal suo titolo s'intuisce come EYES WIDE SHUT sia un film paradossale e contraddittorio, ambiguo e controverso, affascinante ed insoddisfacente, forse incompiuto. In breve, straordinario. Perché opera di un artista unico nell'universo cinematografico, segreto e metodico, sorprendente e perfezionista, visionario e riservato, prepotente e fragile. L'unico, in soli tredici film separati da intervalli crescenti ad aver imposto la propria legge ad Hollywood. EYES WIDE SHUT è l'ultimo film che vedremo fatto a quel modo: con molti soldi, ma non solo per fare spettacolo. Per farci riflettere sull'intimo e sull'insolito, spaziare sulle frontiere affascinanti che separano la realtà dalla fantasia. E filmare con la pellicola spinta, come soltanto un ex-fotografo ha il coraggio di fare; con la grana grossa, rivelatrice, introspettiva come nei filmini in superotto. Agli antipodi di quel perfezionismo levigato delle tecniche digitali, alle quali dovremo abituarci. Straordinario, il film, per la sua sofferta gestazione: è dalla fine degli anni sessanta che Kubrick aveva acquistato i diritti al racconto "Doppio sogno", che lo scrittore viennese Arthur Schnitzler aveva pubblicato nel 1926.E straordinario per un destino più triviale: lo sfregio mediatico subito, la svendita deviante, conseguenza dell'insensato marketing della MGM. Infine, per il fatto di essere un'opera postuma: che ci osserva ormai dall'altra sponda, d'oltre quei confini fra sessualità e morte sui quali cosi meravigliosamente si costruisce.

Maniacalmente fedele al testo originale, eppure puntualmente accusato dai cultori di Schnitzler di averne tradito l'originale impronta freudiana EYES WIDE SHUT nasce nel segno della destabilizzazione. L'invito subdolo del titolo a voler finalmente spalancare gli occhi (ma non vorrà significare proprio l'opposto?) costituisce, com'è noto, la molla dell'intrigo: quella di una coppia splendida, fortunata e banale della New York upperside che decide di dirsi tutto. Quando "tutto", ovviamente, significa sesso; e quando chi decide, altrettanto ovviamente, è lei. Da quel momento (e, volenti o nolenti, nel film si entra in pochi attimi) la superficie mondana delle apparenze, il ritmo suadente delle buone maniere, la nenia cadenzata delle convenzioni psicologiche e sociali cede il passo ad una nuova dimensione. Come sempre nel cinema di Kubrick, la pulsione primitiva, la vera natura dell'uomo affiora con l'avvio della meccanica del racconto, con il dissolversi della patina civile. La crudeltà del calcolo si afferma. Le maschere, i manichini dell'orgia (cosi asessuata, in barba alla pubblicità ed alle interpretazioni fasulle: cerimoniale ieratico e voyeuristico che sottintende, come gli altri incontri del film, depravazioni assai più mercantili) alla quale è destinato il bel Tom Cruise ricordano i figurini incipriati che attorniavano nella luce delle candele lo sfortunato arrampicatore sociale di BARRY LINDON. Se quelli costituivano lo schermo all'ipocrisia delle belle maniere settecentesche, questi sono gli emblemi malcelati dell'altrettanto spietato e cinico pragmatismo della Manhattan contemporanea.

Non a caso Kubrick ha scelto di gommare le connotazioni antisemite della Vienna di Schnitzler, di banalizzare il suo protagonista, di fare di Tom Cruise (perfetto, nella sua ingenuità imberbe di yuppie travolto dagli avvenimenti) e di Nicole Kidman (cosi splendida e ricettiva da rendere memorabile ogni sequenza nella quale entra a far parte) due esploratori piuttosto sprovveduti dell'inconscio. Viaggio nell'intimo di una coppia che sceglie il sogno quale rivelatore della realtà, la sfida alla solidità della felicità coniugale per affrontare i fantasmi più reconditi, EYES WIDE SHUT si colloca infatti all'opposto del film al quale più assomiglia, SHINING. La follia del personaggio di Jack Nicholson, la regressione che minacciava il nucleo famigliare rinchiuso nell'albergo isolato nelle nevi erano la conseguenza della loro volontà aberrante di reclusione. I protagonisti di EYES WIDE SHUT affrontano il rischio contrario: quello di aprirsi al mondo ed alle sue tentazioni, di avventurarsi fuori dai confini rassicuranti della civiltà e della morale.

Ma non è tanto questione di similitudini. Ciò che rende al contrario unico e prezioso EYES WIDE SHUT è la sua diversità (ancora...) rispetto a quanto lo precede nell'universo poetico del suo autore. Non più un cinema distaccato, quasi prigioniero della sua aristocratica egemonia. Un cinema di riferimento, che si attacca ai generi tradizionali (la fantascienza, lo storico, il film di guerra, quello psicologico, ecc.) per sovvertirli con la propria riflessione estetica e critica. Ma un cinema intimo e sofferto, personale e forse per questo meno perfetto (si può discutere sul finale precipitoso delle sceneggiatura, sulla greve "spiegazione" del demiurgico avvocato interpretato da Sidney Pollack): come se l'artista sommo ed isolato nell'intuizione della vita declinante avesse risposto finalmente all'esigenza di abbandonarsi alle proprie inquietudini, di esplorare le zone più recondite del proprio animo.

Pochi film sono stati attesi come questo, perché il cinema di Kubrick si è pure costruito sull'attesa; e pochi film susciteranno le medesime controversie. Ma senza lasciare nessuno indifferente; e non di certo perché i capolavori del regista hanno tutti dovuto attendere che il tempo rendesse giustizia. Piuttosto, perché le sue immagini si depositeranno lentamente nelle memorie, anche in quelle di coloro che non amano il film. Perché non è tanto il sesso, quanto l'inquietudine ad essere al centro del film; e quell'Amore e Morte ai quali tutti siamo confrontati. Segnati in quest'opera leggera e segreta dal peso indelebile della mano dell'artista, i personaggi, gli avvenimenti, le reazioni ritornano sempre due volte. La prima nel nome di una fuga amorosa, più o meno sognata; la seconda, con gli stessi personaggi, in un incontro (leggero e compassionevole come in quelle carezze di Cruise) ormai preceduto dalla morte. Nella scenografia iperrealista di una New York ricreata favolosamente in studio la vicenda si fa contemporanea, segnata da reminiscenze mitteleuropee e fuori dal tempo. In un universo dalle sonorità impressionanti (una scelta squisita, che dalla scansione lancinante degli accordi della Musica Ricercata di Ligeti conduce all'allusivo Jazz Suite - Valse di Shostakovich, fino al groove di Chris Isaak) ogni situazione del film è l'occasione per la creare una serie di contenitori di meraviglioso significato psicologico e riverbero poetico. I movimenti della cinepresa infinitamente suadenti, l'intuizione delle inquadrature, la puntualità degli elementi scenografici s'imprimono su una pellicola dalla materia alterata, dove le tinte (il dorato soffuso dei primi piani, l'azzurro, il verdognolo degli sfondi) concorrono a creare chiaroscuri e mezzetinte misteriose. Ai confini di quei paesaggi inesplorati dove la nostra realtà è costretta a confrontarsi con i nostri sogni: in una metafisica dell'animo alla quale sarà difficile resistere.


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